Il benaltrista

Una mia lettrice, tra le poche che posso permettermi, a proposito dell’ultimo mio post su Marchisio, mi ha prima definito, suppongo ironicamente, un intellettuale e poi un mago del “benaltrismo”. Mi sono offeso perché non sono né un intellettuale, né un mago e, proprio perché non sono un intellettuale, ho dovuto poi cercare sul dizionario web Treccani il significato di “benaltrismo” o “benoltrismo”. Riporto letteralmente:

(benoltrismo s. m. (iron.) Tendenza a sostenere la necessità di dover andare ben oltre le soluzioni che si delineano per risolvere un problema.  [Sergio] Cofferati accusa la sinistra di «benaltrismo e benoltrismo». Inesistente il secondo termine; inusuale (e non inserito nei vocabolari) il primo che è un neologismo delle scienze politiche per indicare l’espressione «ci vuole ben altro», ovvero dall’individuare origine o soluzione di un problema in qualcos’altro rispetto all’affermazione dell’interlocutore. (Mattino, 7 settembre 2007, p. 10, Primo piano).

Derivato dall’espressione ben oltre con l’aggiunta del suffisso -ismo.

Mi sono sentito lusingato! Sono un convinto benaltrista e mai più gradita è stata una definizione di me indicata da altri. Ad esempio, quando una Federazione nazionale calcistica come quella inglese impone ai suoi giocatori di inginocchiarsi per esprimere solidarietà al movimento ‘Black Lives Matter’ (“Le vite nere valgono”), io mi sento fortemente “benaltrista” perché penso che oltre alle vite nere, valgano le vite dei pellerossa, dei curdi, dei coreani del nord, delle minoranze etniche cinesi, dei cubani che le hanno perse nel tentativo di abbandonare l’isola, delle donne musulmane oppresse e trucidate da padri, zii, mariti, dei figli di nessuno bianchi, neri, gialli, ispanici che non saranno mai nessuno solo perché figli di nessuno, dei bambini di Scampia e di tutte le periferie del mondo. Cerco di capire la differenza tra un gesto, un gesto vuoto e un voler far vedere al mondo che esistiamo, dimostrandolo con una retorica genuflessione: 

La libertà non è star sopra un albero

Non è neanche avere un’opinione

La libertà non è uno spazio libero

Libertà è partecipazione

Gaber aveva torto marcio, perché la libertà è tutto ciò che lui nega, ma anche ciò che afferma. Il tema è essere liberi o sentirsi liberi? Se essere liberi lo decide qualcun altro, imponendo l’argomento del giorno, io mi sentirei prigioniero, partecipando a un pensiero unico, genuflettendomi per colpe che quel qualcuno pretende di impormi. E allora sono un benaltrista, ma libero di stare sopra un albero a respirare aria fresca quando ne ho voglia, libero di avere un opinione, libero di immaginarmi in uno spazio libero e libero di partecipare, oppure non farlo. Soprattutto libero di non dover giudicare chi è libero se si inginocchia o non lo è se non lo fa. Per questo come dice Treccani tendo a indagare al di là delle comode soluzioni che si delineano per risolvere un tema complesso e non certo per eluderlo: a quello ci pensa già chi è convinto di aver capito tutto inginocchiandosi. Mi piace il benaltrismo, ma anche la libertà di sentirmi libero di andare oltre una genuflessione di rappresentanza.

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.

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