Il “prima” e il “dopo” la battaglia ambientalista

Tornare sull’argomento clima non era mia intenzione. Tuttavia, nonostante la mia posizione sul tema, già espressa sul mio blog, mi sento di ribadire alcune opinioni.

 https://ilbuconellenuvole.wordpress.com/2019/07/06/global-warming-or-heads-warming/ 

La mia freddezza sulla diatriba climatica non è ovviamente una presa di posizione rispetto a questioni di natura scientifica: l’ho già detto in tutte le salse e lo ribadisco! Se esprimo un’opinione non è e non sarà mai in merito a: le temperature nei millenni sono mutate Sì/No, l’effetto antropogenico è la prima causa dei cambiamenti sul clima Sì/No, questi cambiamenti influiscono sugli assetti socio economici delle popolazioni Sì/No. Il negazionismo sulla questione clima non mi appassiona, semplicemente perché non vi è nulla da negare. Mi appartiene tuttavia la riflessione e se il tema è un’analisi sulla percezione delle persone tra un prima e un dopo qualcosa la domanda è: si stava meglio in epoca pre industriale perché l’inquinamento dell’uomo non influiva sui cambiamenti climatici come avviene oggi? Ho provato a percorrere un ulteriore punto di vista, non partendo solo dalle misurazioni scientifiche, o dagli articoli sui quotidiani che grondano di commenti ideologici sugli studi pubblicati su Nature, complessi da comprendere e ancor più difficili da interpretare. Preferisco riflettere sull’evoluzione della percezione degli uomini “prima” di un qualcosa e “dopo” quel qualcosa. Un esempio empirico, più vicino alla mia professione e quindi a me maggiormente familiare, è il confronto tra le aspettative di salute prima dell’era pre-industriale e dopo di essa. Nell’allora mondo conosciuto tali aspettative erano di 35-40 anni, successivamente sono aumentate superando in molti paesi gli ottant’anni. Come già detto non voglio soffermarmi sui numeri, ma sulla percezione delle popolazioni in merito alla propria aspettativa di vita. Mentre nel medioevo, in cui tale aspettativa era di trent’anni, sarebbe stato un traguardo impensabile arrivare a ottanta (il 266% in più!). Sarebbe come immaginare che oggi qualcuno potesse sopravvivere il 266% in più dei nostri 80 anni attesi  (cioè 280 anni!). Ma nel 2019 le persone come percepiscono le proprie aspettative di vita? Immaginiamo i pazienti ipertesi e/o con un diabete diagnosticato oltre i 70 anni. Certo, essere portatori di una qualunque malattia o disturbo cronico non è certo piacevole ad ogni età, ma quando avviene dopo i 70 anni oggi ognuno lo ritiene una sfortunata eventualità, frutto di una iattura abbattutasi su chi la vive. Qualora tale diagnosi dovesse addirittura portare alla morte, lo stupore e la rabbia dei familiari porterebbe alla convinzione di una maledizione piovutegli addosso la cui responsabilità sia sempre da attribuire a un errore umano. In pratica, oggi, nella percezione collettiva, vige il rifiuto della malattia e della morte a dispetto di un’evoluzione della salute da sempre correlata soprattutto all’età, età che nel nostro tempo, in confronto al “prima” delle epoche preindustriali, sarebbe paragonabile a quella di Matusalemme. Tuttavia, lo stupore e l’indignazione regnano sovrani! A 78 anni, ho un cancro, oppure ho la minima a 110 mm hg o ho il diabete o un’inizio di demenza: è sempre colpa dei farmaci messi nella carne, iniettati dalle multinazionali, è colpa dei pesticidi nella frutta imposti dalle lobby dell’agricoltura, è colpa dei governi che ci impongono stili di vita dissoluti. In sostanza  è colpa di chiunque, meno che dell’età che fino a 700 anni orsono si riduceva a due terzi di quella attuale e tutti pensavano che fosse per colpa del Divino. Tra l’implacabile falce della natura sul destino umano in epoca medioevale e l’ineluttabile responsabilità dell’uomo sulla natura in epoca moderna forse la realtà sta in mezzo.

Per cui il tema  è, come sembra provato, se le emissioni nell’ambiente causate dall’uomo sono un problema e tale problema è drammatico, perché la catastrofe è alle porte, allora tali emissioni  dovranno essere ridotte al più presto. Ma la domanda è anche: quanto le popolazioni saranno disposte ad accettare un ritorno ad aspettative sulla propria esistenza tipiche di un passato lontano e peggiorativo rispetto al nostro presente? Tutto questo in uno scenario odierno dove quello stesso uomo che vorrebbe abbattere o trasformare in un solo colpo tutte le emissioni dannose del pianeta per rattoppare il buco dell’ozono, non accetta neanche di essere iperteso dopo i settant’anni, come se l’elasticità delle proprie arterie ne dovesse per forza avere cinquanta di meno. Quindi, va bene pretendere un futuro più sostenibile in tema di emissioni, ma al prezzo di un cambiamento della nostra percezione sulle aspettative che nutriamo verso noi stessi. Siamo veramente disposti a pagarlo? Cominciamo tutti a girare a piedi, perché la mobilità, per ecologica che sia, produrrà sempre e comunque degli inquinanti. Cominciamo a rinunciare alla produzione di energia in grandi quantità, perché le energie alternative a tutt’oggi sono lontanissime dal pareggiare quelle attualmente in vigore. Cominciamo a rinunciare al web e alle sue forme di comunicazione perché per sostenerlo, anche in questo caso, c’è bisogno di enormi fonti energetiche. Cominciamo a smettere di produrre cibi da proteine animali perché le emissioni della zootecnia incidono significativamente sull’ambiente. Cominciamo a ridurre anche le emissioni e gli scarti delle industrie farmaceutiche, considerando che tra le attività produttive principali al mondo ci sono anche quelle e, come gli altri settori industriali, emettono e inquinano. Di conseguenza rinunciamo all’attuale diffusione dei farmaci e alla cura di patologie che un tempo ammazzavano intere popolazioni nei primi trent’anni di vita, per inquinare meno. Cominciamo a non pretendere di raggiungere luoghi lontani in poche ore e riabituiamoci a metterci in viaggio per giorni o settimane via terra o via mare. Siamo disposti tutti a pagare questo prezzo? Magari, prima di rispondere a questa domanda, cominciamo ad abituarci all’idea che non siamo eterni e superata una certa soglia di età un giorno finirà e questo non avverrà necessariamente sempre e per colpa di qualcun altro.

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.

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