Je suis un imbécile

Rileggo le dichiarazioni del 2015 di Umberto Eco buonanima, http://www.huffingtonpost.it/2015/06/11/umberto-eco-internet-parola-agli-imbecilli_n_7559082.html?ncid=fcbklnkithpmg00000001 rese in occasione del conferimento di una laurea honoris causa assegnatagli a Torino e il mio senso di appartenenza da tempo sopito (tolti i motivi calcistici che evidentemente confermano la mia imbecillità), si ringalluzzisce. È bello sentirsi la mente sgombra da fastidiosi e inutili pensieri e ragionamenti troppo impegnativi per il mio unico neurone che, in completa solitudine, interroga se stesso sul vuoto che lo circonda mentre navigo sul web.

Je suis un imbécile. Lo affermo con orgoglio, faccio parte delle legioni di imbecilli con diritto abusivo di parola citate da Eco. Scorrazzo tra post, foto e filmati di imbecilli come me che non vivendo più il tempo delle osterie non sanno dove riunirsi per sparare le proprie imbecillità clandestinamente. Già, perché un tempo, come sosteneva il celebre semiologo, gli imbecilli dopo un bicchiere di vino e la cazzata di turno “venivano subito messi a tacere”. Resta da capire se venivano zittiti dal vinaccio scadente o da un corpo speciale di polizia accademica che eliminava a colpi di volumi medioevali sul cranio l’idiota di turno che la sparava più grossa. Di conseguenza secondo lui, quando il web non era neanche lontanamente ipotizzabile, il mondo era sotto il rassicurante controllo di menti raffinate. Oggi invece “il dramma”, così l’ha definito l’autore de In nome della rosa, è la struttura di internet, poiché darebbe la parola a tutti senza distinzione. Noi, imbecilli moderni, usciti dal passato e dal profondo delle piole, danneggeremmo la società di oggi detenendo impropriamente, tramite le opportunità di espressione che la rete concede, “lo stesso diritto di parola di un premio Nobel”.

E come si potrebbe risolvere questo insalubre “dramma”?

Il filosofo così si è espresso: “…filtrare con équipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno”. Per fare questo “i giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi”.

In sostanza noi imbecilli dovremmo essere valutati da organi di vigilanza super partes o super imbecillis che sarebbero i giornalisti e i professori (evidentemente secondo Eco tradizionalmente tutti immuni dal morbo dell’imbecillità).

Un moto di rabbia mi esplode dentro e rivendico il sacrosanto ed equo diritto di essere controllato e giudicato da miei pari, almeno imbecilli quanto me e non da illuminati giornalisti o docenti che per purezza genetica sembrerebbero inattaccabili dal virus dell’imbecillità. Secondo il compianto accademico basterebbe questo a bloccare la deriva di cretinismo imperante a causa del progresso. Una “Mediacrazia” dove i giornali potrebbero dominare tutto semplicemente perché al di fuori della pubblica imbecillità. In un mondo, naturalmente ipotetico, dove le notizie circuiterebbero con i vari poteri orientandone l’azione, dove i fatti, così come sono, non conterebbero, ma l’unico obiettivo valido da raggiungere sarebbe il risultato in termini di influenza da consolidare a tutti i costi (…mi ricorda la vision di una nota squadra di calcio del campionato italiano di serie A). Dove gli editori creerebbero veri e propri partiti sotterranei attraverso il titolo delle proprie testate a seconda dell’aria che tira e non il contrario. Ma siccome Je suis un imbécile, tutto questo, per noi imbecilli, fortunatamente non è mai accaduto…

Comunque, vagando da webete mi imbatto sulla notizia di Brian Eno che all’ultimo momento non concede i diritti per l’uso di un suo tema musicale per il secondo atto di un balletto programmato per i prossimi giorni a Torino dalla Batsheva Dance Company guidata dal coreografo israeliano Naharin.

Eno ha espresso il suo «grave conflitto interiore», nato dall’utilizzo della musica per uno spettacolo di cui «l’ambasciata israeliana (e quindi il governo israeliano) è sponsor». «Dato che» aggiunge l’artista «sostengo la campagna BDS da ormai diversi anni, questa è una possibilità inaccettabile per me». La «BDS» è l’acronimo di «Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni» nei confronti di Israele.

Il mio unico neurone è surriscaldato e non riesce più a capacitarsi. Addirittura uno dei Pink Floyd, Roger Waters è un grande promotore di BDS e passa il tempo a dissuadere tanti altri artisti ad andare in Israele a esibirsi. Certo, il tema dei diritti civili è imprescindibile e l’arte, potrebbe aiutare accademici e giornalisti sani a ricacciare indietro gli imbecilli, come sosteneva Eco. Però qualcosa non torna. I diritti umani dovrebbero valere per tutto il genere umano o solo per i palestinesi? E allora i diritti dei coreani del nord, dei cinesi, dei cubani (…a proposito di embargo, quello lì per Waters pare sia assai disdicevole) , dei cittadini di Sirte e similari, degli stessi israeliani saltati in aria in qualche autobus a Tel Aviv, dei cristiani spazzati via in Pakistan, delle vittime civili di Boko Haram e (…adesso il mio mono neurone esplode) degli irlandesi cattolici dell’Ulster trucidati dall’esercito di Sua maestà la Regina nei gloriosi anni floydiani di “Atom Hearth Mother”, connazionali del signor “Dark side of the moon”, peraltro la stessa regina che ha nominato il suo collega Gilmour CBE (Cavaliere dell’impero britannico) con il quale Water ha condiviso le sue battaglie umanitarie.

Certo che se il bassista dei Pink Floyd si fosse dovuto veramente preoccupare dei diritti umani, ma di quelli di chiunque, invece di girare per tournée tra un capo e l’altro del mondo avrebbe dovuto rifiutare di fare concerti un po’ ovunque e magari avrebbe vietato la vendita dei sui lavori là dove i diritti umani in generale negli ultimi cinquant’anni sono stati costantemente violati. Il Signor Waters, che è sicuramente attento ai diritti dei palestinesi, ma imbecille non lo è affatto, a differenza del sottoscritto e dei navigatori tacciati dal grande studioso alessandrino, non sembra essersi mai posto il problema.

Ma va bene lo stesso e ci facciamo un bel boicottaggio contro le violazioni solo dei diritti umani politicamente corretti.

Adesso basta, è già troppo per me, devo subito riposare la testa e vado a cercarmi un bel sito della mia squadra di calcio del cuore così mi rilasso un po’, tanto non bevo vino…

Author: admin

Michele Morandi nasce a Napoli nel 1964. Dal 1990 vive a Torino dove svolge la professione di Medico Igienista. Il suo indissolubile legame con Napoli, così come la cultura degli anni ’70, hanno fortemente influenzato la sua azione creativa. La trasposizione di immagini e vissuti del passato sono sempre diretti a un’interpretazione della realtà corrente. Nel 2013 pubblica per la Hever editrice L’uomo che non esiste. Il volume è stato presentato a Napoli presso la Saletta Rossa della Libreria Guida e a Torino al Salone Internazionale del Libro di quell’anno. Nel 2015 pubblica sempre per la Hever editrice Il teorema della memoria, presentato a Torino in anteprima presso il Salone Internazionale del Libro e a Napoli presso il Palazzo delle Arti. Nel 2019 pubblica per L’Erudita del Gruppo Giulio Perrone Editore Segui la marea. E’ autore del blog Il buco nelle nuvole, una pagina che oltrepassa la cortina nebbiosa del politically correct e del pensiero unico oggi imperante nel giornalismo e nella politica.